I fatti, le partite, le vicende più emozionanti e i personaggi che hanno scritto le pagine più importanti della storia del club: il 13 maggio la Lazio vive una notte unica
I calci di rigore hanno punito la Lazio contro il Bodo Glimt, nel ritorno dei quarti di finale di Europa League: gli errori di Tchaouna, Noslin e Castellanos hanno messo la parole fine ai sogni europei della squadra di Marco Baroni. Sedici anni prima, fortunatamente, il destino ha scritto per i biancocelesti un finale completamente diverso.
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Allo stadio Olimpico la Lazio guidata da Delio Rossi affrontò la Sampdoria di Del Neri, per la finalissima di Coppa Italia. Una sfida equilibrata, tra due formazioni generalmente poco avezze alle finali (per la Lazio di Lotito si è trattato del primo trofeo ufficiale) e composte da giocatori di qualità: Zarate e Pandev da una parte, Cassano e Pazzini dall’altra. Una sfida bella, emozionante e contrassegnata dal grande equilibrio. Un match destinato a rimanere nella storia del club.
12 maggio 2009, Zarate disegna un capolavoro
La Lazio parte forte, sospinta dall’incitamento dello stadio Olimpico. I riflettori sono tutti puntati su due giocatori: Zárate e Cassano. A loro i tifosi chiedono le prodezze per rompere l’equilibrio. I loro volti hanno occupato le prime pagine dei giornali, e nelle dichiarazioni della vigilia i loro nomi sono stati più volte citati dai tecnici. «Zárate è un giocatore imprevedibile», aveva detto Mazzarri, «dobbiamo cercare di evitare che gli arrivino palloni invitanti. Più che controllare lui, dovremmo controllare le fonti di gioco». Le raccomandazioni del tecnico doriano sono però destinate a infrangersi contro le prodezze e l’imprevedibilità del numero 10 argentino.

Zárate impiega solo quattro minuti a diventare protagonista assoluto: prende palla all’altezza del vertice dell’aria blucerchiata, si libera con una finta del marcatore di turno, e dai venticinque metri lascia partire un bolide pazzesco che si insacca alle spalle di Castellazzi. Un gol fantastico. Una giocata da urlo. Il portiere della Samp ripete l’inutile tuffo del collega romanista Doni, che un mese prima era stato spettatore di una giocata simile. La Lazio è in vantaggio e sembra mettere le mani sulla Coppa Italia.
Pazzini pareggia: tutto da rifare
Dopo pochi minuti i biancocelesti, che nel frattempo continuano a macinare gioco, hanno la grande occasione per chiudere la partita, ma non sono in grado di effettuare il colpo del ko: Kolarov si libera dal limite e scarica un tiro impressionante di sinistro, che Castellazzi riesce solo a deviare; sulla ribattuta si avventa Pandev, che a cinque metri dalla porta sembra pronto a insaccare il più semplice dei tap-in. Sembra fatta, ma l’estremo difensore doriano si supera e ribatte la conclusione del macedone.

La delusione per il mancato raddoppio è accentuata al 31’, quando la legge non scritta del calcio (gol sbagliato, gol subito) si manifesta con la sua implacabilità. Dal possibile raddoppio di Pandev passano appena cinque minuti. Il tempo necessario agli uomini di Mazzarri per trovare il pareggio, che arriva puntuale alla prima palla gol creata: cross di Cassano, assist di testa di Stankevicius, che in elevazione supera nettamente Kolarov, e colpo vincente (un po’ fortuito, un po’ voluto) di Pazzini. Muslera è battuto. Tutto da rifare.
La lotteria dei rigori: errori di Cassano, Rocchi e Campagnaro
I tempi regolamentari terminano 1-1: si va ai calci di rigore. Il prima a calciare è Cassano: Muslera si tuffa alla sua destra e respinge il tiro. Primo boato dell’Olimpico; Lazio che parte con il piede giusto. Solo i più scaramantici si lasciano andare a una smorfia di disapprovazione. Secondo una leggenda popolare, suffragata però da illustri precedenti, la squadra che sbaglia il primo penalty riesce ad avere la meglio. Ma sono in pochi a pensarlo. Anche perché Ledesma corre velocemente sul dischetto e con la solita freddezza disegna una traiettoria perfetta che si insacca alle spalle di Castellazzi.

Dopo la prima serie, la Lazio è in vantaggio: 2-1. Sul dischetto si presenta Rocchi, che colpisce il palo. Gelo all’Olimpico. Segnano Pazzini, Rozehnal, Gastaldello, Kolarov e Accardi. Poi è il turno di Zarate, che spiazza Castellazzi. Si procede ad oltranza. Ora non si può più sbagliare. Ogni errore può essere fatale. Qualsiasi distrazione o debolezza può trasformarsi in un episodio decisivo. Segnano Del Vecchio e Lichtsteiner, poi è il turno di Campagnaro: tiro forte e centrale. Muslera si getta alla sua sinistra, ma con la mano di richiamo riesce a respingere. È una parata di straordinaria importanza. Forse la più decisiva della sua carriera.
Dabo segna, l’Olimpico esplode
IL tiro decisivo spetta a Ousmane Dabo. Il francese si prende tutto il tempo necessario. Da quando posiziona la sfera sul dischetto a quando prende la rincorsa passano altri sei interminabili secondi. Muslera ha le mani sul volto. Si rifiuta di guardare. Ha il viso rivolto verso la tribuna Monte Mario. Vuole capire dalla reazione dei tifosi quello che sta accadendo alle sue spalle. Quando vede i laziali saltare in piedi impazziti, capisce che il sogno si è avverato. Si gira di scatto e vede Dabo correre verso i compagni. Dal centrocampo, come in una finale dei cento metri, corrono impazziti Igli Tare, Ledesma, Lichtsteiner e Rocchi.

Sono loro i primi ad agguantare Dabo e a gettarlo a terra. All’Olimpico è apoteosi pura. Estasi per i tifosi e per i protagonisti. La Lazio torna a riaprire la bacheca. Lo fa nel modo più intenso ed emozionante, al termine di un cammino esaltante.È la vittoria di Zárate, talento protagonista di un anno incredibile. Purtroppo irripetibile. La vittoria di Pandev, che da lì a poco sarà protagonista di una querelle impensabile con la società. La vittoria di Foggia, che torna in nazionale, di Ledesma, tra i più costanti di tutta la stagione, di Lichtseiner e Kolarov, di Siviglia e Rozehnal.
Di Radu e De Silvestri, che dedica il successo al suo amico Gabriele, di Carrizo, che ha sostenuto e tifato per il suo compagno Muslera, dimenticando che gli aveva soffiato il posto, di Brocchi, lottatore straordinario, di Mauri, decisivo nonostante le polemiche, dello squalificato Matuzalém, del criticato Manfredini, dei comprimari Meghni, Diakité, Cribari e Inzaghi. Di Rocchi, che alza la Coppa insieme a Ledesma, di Rossi, che piange come un bambino e dedica il successo ai tifosi, ma soprattutto di Ousmane Dabo. L’uomo della provvidenza.