La clamorosa sconfitta casalinga contro il Lecce chiude amaramente fuori da tutte le competizioni una stagione che a un certo punto sembrava invece promettere altro e apre un processo anche nei confronti della società
Era l’ultima ipotesi che si prendeva in considerazione alla vigilia dell’ultimo turno di campionato. Anzi, si facevano tutti i calcoli possibili per sperare ancora se non nella Champions League, almeno di acciuffare in extremis un posto in Europa League, prima di accontentarsi di quello in Conference che sembrava blindato proprio in virtù dell’ultima gara casalinga che sarebbe dovuta bastare per garantire quel punto che voleva dire Europa anche il prossimo anno, tanto che, quando al fischio finale ci si è ritrovati fuori da tutto, il tifoso laziale ha stentato a credere possibile che fosse accaduto davvero.
Ora ci si lecca le ferite e ci si interroga soprattutto su come sarà possibile ripartire dopo questa autentica “Caporetto laziale” accaduta ieri sul prato dell’Olimpico. Una sconfitta, brutta, assurda, inspiegabile per certi versi, ma tremendamente vera per la dinamica praticamente uguale a tante altre partite giocate in casa nel 2025, magari recuperate in extremis nei minuti finali. Invece ieri l’ennesimo miracolo non è arrivato e la Lazio chiude con una sconfitta bruciante quella che sarà ricordata come una stagione fallimentare.
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Gli errori arrivano da molto lontano
Come spiegare quello che è accaduto ieri sera? Da dove cominciare a capire come sia stato possibile che una squadra a cui mancava un solo punto per conquistare la ribalta europea anche per la stagione prossima non sia riuscita, dopo essere passata malauguratamente in svantaggio in casa contro il Lecce, in disperata lotta per salvarsi dalla retrocessione, a realizzare quel maledetto unico gol nonostante abbia giocato in superiorità numerica per oltre 50 minuti? Impossibile da spiegare, ma facile da ricostruire nella genesi dopo aver visto l’operato di una società che a inizio stagione aveva intrapreso un percorso di ridimensionamento spacciato per nuovo ciclo. Infatti, quando al termine della stagione scorsa, il club ha deciso di salutare alcuni dei giocatori che avevano fatto la “storia” negli ultimi anni per sopraggiunti limiti di età o motivazioni, sostituendoli con giovani di buone prospettive, ma privi dello stesso carisma e qualità tecnica, era facilmente intuibile che sarebbe stata un’annata difficile.
Noslin Tchaouna, Dia, Dele Bashiru, rappresentavano giocatori da sgrezzare, da inserire in un contesto del tutto diverso da quello dove avevano giocato fino a ieri, con tutte le difficoltà che potevano emergere. Una campagna acquisti quindi che doveva rappresentare l’inizio di un nuovo ciclo, con nuovi interpreti. Ma sappiamo bene come funziona a Roma, nell’ambiente laziale, la pazienza è poca e non c’è modo e tempo di aspettare l’inserimento di qualcuno. Giocatori poi prelevati da squadre di seconda fascia, con ingaggi più bassi, in linea con un ridimensionamento nel monte ingaggi necessario alla società per rientrare nei parametri imposti dalla federazione.
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La scelta di un allenatore di seconda fascia
Una spending rewiew pericolosissima che in caso di fallimento dei nuovi acquisti poteva portare a un impoverimento tecnico decisivo per l’esito finale della stagione. Una stagione poi complicata dai tanti impegni, campionato da giocare per rientrare in Europa, un’Europa League finalmente da onorare con il massimo impegno e una Coppa Italia che come ogni anno poteva anche servire come ciambella di salvataggio nel giudizio finale. Il tutto affidato a un allenatore non di prima fascia, con alle spalle una gavetta notevole, ma assolutamente senza nessuna esperienza come tecnico di una piazza così importante, così passionale come quella laziale, alle prese con una contestazione perenne contro il proprio presidente da gestire e una rivalità cittadina lunga 365 giorni l’anno.
Nessuno può mettere in dubbio la professionalità e la serietà di Marco Baroni, ma Verona, Lecce, Reggina, Frosinone, Pescara, Cremonese e Benevento, fanno capire che salto nel vuoto sia stata la scelta di un profilo del genere. Neanche la partenza lanciata ha aiutato il mister, in grado di far girare la squadra alla boa del girone d’andata con un sorprendente quarto posto in classifica, oltre la qualificazione alla fase a eliminazione diretta di Europa League, perchè poi ai primi risultati negativi, al primo scadimento di forma di alcuni componenti fondamentali della rosa, per non essere riuscito a gestirla bene, hanno fatto emergere tutti i limiti di un gruppo di giocatori e di una guida tecnica forse non del tutto pronta per questa ribalta. E la società stessa non è riuscita probabilmente a dare il supporto giusto proprio nel momento topico, quando bisognava superare le prime crepe di una crisi che latente stava minando le fondamenta del nuovo progetto tecnico. Progetto che adesso, dopo la “Caporetto” di ieri contro il Lecce, dovrà necessariamente ripartire da capo avendo così gettato al vento questi dodici mesi.