I fatti, i personaggi e i momenti più significativi avvenuti nella storia della Lazio il 14 giugno. Il racconto di un uomo che per la Lazio ha dato tutto, sacrificando la sua carriera e quello di una delle gare più sfortunate della storia
Due storie incredibili, legate alla Lazialità più profonda (la prima) e alla sfortuna più nera (la seconda). Due momenti difficili da dimenticare per tutti i tifosi biancocelesti: accaduti entrambi il 14 giugno.
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Giorno in cui nasce un portiere capace di scrivere le pagine più esaltanti ed eroiche del calcio biancoceleste. E giorno in cui si materializza un vero e proprio dramma sportivo. Con un rigore calciato sul palo e che manda all’aria un anno di sacrifici, speranze e illusioni. Ma andiamo per ordine.
14 giugno 1921, tanti auguri a Uber Gradella
Il 14 giugno nasceva a Mantova Uber Gradella. La sua storia sembra scritta da un abile sceneggiatore. Ricca di colpi di scena e di momenti intensi e drammatici, ci riporta indietro ad un calcio antico, bello passionale e nel quale sentimenti come amicizia, rispetto per i tifosi, attaccamento alla maglia, tornano prepotentemente di moda. Nella sua vita calcistica si intrecciano storie indimenticabili: Uber infatti arriva alla Lazio quasi per caso, si innamora del club biancoceleste, gioca al fianco di Silvio Piola, calciatore più forte della storia del nostro calcio, diventandone amico e confessore; nel momento più intenso della sua carriera è costretto a fermarsi a causa della seconda guerra mondiale e quando torna è chiamato a ricostruire le ceneri di un club che lentamente prova a risalire la china.

Quando sembra sul punto di tornare grande, un grave incidente di gioco lo costringe a fermarsi. Uber sacrifica il proprio ginocchio per difendere i pali biancocelesti. Dopo un lungo calvario torna a disposizione, ma quando capisce che la società ha deciso di puntare su un nuovo portiere (Sentimenti IV) decide di abbandonare il calcio, pur di non vestire una maglia diversa da quella biancoceleste, rimanendo legato in maniera definitiva alla Lazio, continuandone a seguire le sorti per tutta la sua vita.
Stefano Chiodi e il rigore maledetto
Il 14 giugno del 1981 i tifosi della Lazio vivono un dramma difficile da dimenticare. I biancocelesti ospitano il Vicenza nell’ultima gara casalinga della stagione. Una vittoria permetterebbe loro di ottenere la tanto attesa promozione in Serie B. La Lazio va sotto, pareggia con Pochesci e continua ad attaccare con forza alla ricerca del gol che varrebbe la serie A. Al 90′ l’arbitra le assegna un calcio di rigore. Sul dischetto si presenta Stefano Chiodi: il rigorista per eccellenza, uno dei migliori e più infallibili tiratori dagli undici metri.

Il perdurare della gara (iniziata alle 16.30), porta addirittura Novantesimo Minuto (la nota trasmissione condotta da Paolo Valenti) a collegarsi con lo stadio Olimpico per trasmettere in diretta i concitati istanti finali. I tifosi presenti all’Olimpico e quelli che da casa accendono la tv, guardano esterefatti quello che accade in campo. Chiodi prende la riconcorsa e calcia con il collo destro, ma angola troppo il pallone, che termina sul palo. Su quel legno si infrangono le speranze e i sogni di tutti i tifosi biancocelesti.